mercoledì 31 agosto 2016

STORIA e immortalità

Lo storico Gaio Sallustio Crispo, nato ad Amiterno nell'86 a.C.,  partecipò alla vita politica romana e fu un grande amico di Cesare. Nell'ultima parte della sua vita si dedicò esclusivamente agli studi storici. Di seguito scrivo una delle massime che contribuì alla crescita della notorietà di Sallustio.


"Poiché la vita concessa all'uomo è breve, bisogna che ognuno operi in modo da rendere il più duraturo possibile il ricordo che lascia di sé".



martedì 30 agosto 2016

STORIA E PERSONAL BRANDING

Oggi lo scrittore di fatti storici deve conoscere il PERSONAL BRANDING, deve essere on-line e impostare una strategia che gli permetta di individuare e definire i propri punti  di forza, per evidenziare ciò che lo rende unico rispetto agli altri. 
Per approfondire il PERSONAL BRANDING, leggi le opere di Luigi Centenaro, vai al sito http://centenaro.it/ 
Consulta anche il lavoro di Luigi Centenaro con il gruppo di ricerca dell'Università Telematica Leonardo Da Vinci di Torrevecchia Teatina, costituito da diversi docenti abruzzesi, dopo attenta selezione, tra cui c'ero anche io.

lunedì 29 agosto 2016

Storia e fonti orali. IL TERREMOTO IN ABRUZZO NEL 2009

Tratto da Giornalisti in Erba del 2009

Caramanico: la vita di molte persone cambia dopo una sola notte!
di
Giulia Egizii



In questo periodo abbiamo assistito ad una grande catastrofe: il terremoto in Abruzzo.
La scossa principale si è registrata la notte tra domenica cinque aprile e lunedì sei, alle ore 3:30. L’epicentro è stato registrato a L’Aquila.
Ricordo che tutto in casa ha cominciato a tremare, così mi sono subito alzata dal letto, ma una volta terminata la scossa mi sono riaddormentata. Dopo qualche ora io e la mia famiglia abbiamo acceso il televisore e, solo in quel momento, ci siamo davvero resi conto di ciò che era accaduto: una forte scossa di terremoto aveva provocato la distruzione di un’intera città, con morti, feriti e dispersi.
Crolli di cornicioni e lesioni vengono segnalati anche in provincia di Pescara, ma fortunatamente a Caramanico non si sono verificati grossi incidenti!
Nei giorni seguenti sono state registrate altre scosse, alcune più forti e altre lievi.
C’è chi dice che questa situazione si ripresenterà anche nei prossimi mesi e non sappiamo quando finirà.
Le scuole sono state chiuse per la Pasqua con ben tre giorni di anticipo. Penso che qualsiasi alunno sarebbe felice di fare un maggior numero di vacanze, ma in questo caso non è stato così!
Personalmente ho vissuto questi giorni terrorizzata, trascorrendo le mie giornate tra l’ingresso e la cucina (poiché anch’essa molto vicina all’ uscita) per paura di un'altra forte scossa!
Provavo ad accendere la TV per cercare di non pensarci troppo, ma non si parlava di altro. Ogni minuto una nuova notizia a riguardo e il numero di morti, feriti, dispersi e sfollati aumentava a dismisura.
Siamo stati costretti a dormire alcune notti nelle automobili, ma le scosse vi erano ogni giorno e io e la mia famiglia, essendo stanche di dormire in macchina, ci siamo “accampate” nell’ingresso su letti e divani.
Naturalmente non è mancato il fenomeno dello sciacallaggio.
Un giorno, qualcuno ha messo in giro la notizia che ci sarebbe stata una scossa più potente, di quella registrata lunedì alle 3.30, di magnitudo 5,8 della scala Richter e che bisognava abbandonare le case e radunarsi in piazza. Spaventati, i Caramanichesi hanno ascoltato ciò che gli era stato detto. Eravamo quindi tutti in piazza, quando sono arrivati il Sindaco e il Maresciallo, che ci hanno detto che la notizia era falsa. Dei ladri avevano sparso questa voce per farci abbandonare le case, in modo da derubarci facilmente! Fortunatamente tutto si è concluso per il meglio e i ladri sono stati arrestati!
Questi ultimi giorni le scosse di assestamento sembrano più lievi e meno frequenti. Speriamo che tutto finisca ben presto, perché siamo stanchi e ancora terrorizzati dall’accaduto.
Voglio terminare l’articolo, invitando tutti i lettori a rivolgere un pensiero ai morti, ai feriti e agli sfollati di questo terribile terremoto.   


domenica 28 agosto 2016

STORIA E FONTI ORALI - TESTIMONIANZE DEL TERREMOTO IN ABRUZZO NEL 2009

Lavoro per i giovani allievi, pubblicato su Giornalisti in Erba del 2009

SOS terremoto
di
Eleonora De Angelis



Il terremoto, che nella notte del 6 aprile 2009 ha colpito L’Aquila e dintorni, ha assunto le dimensioni di una tragedia nazionale e quindi ne ha risentito anche Caramanico, il nostro paese.
La prima scossa, di magnitudo 5,8 della scala Richter è stata avvertita intorno alle 3:30 di  notte.
Mentre tutti dormivano, il terremoto si è fatto sentire e, a quanto riferiscono i giornali e la televisione ha “urlato” a squarcia gola, visto che lunedì notte sembrava di essere ritornati nella culla che la mamma faceva dondolare per farmi addormentare, mentre mi raccontava innumerevoli favole a lieto fine. Ma l’effetto è stato il perfetto contrario. Tutti svegli, fuori di casa, attaccati al cellulare a chiamare parenti e amici per accertarsi se avevano sentito il terremoto, o per dare e ricevere un aiuto morale e psicologico, dopo che è riaffiorato il ricordo (almeno agli adulti) del terribile terremoto dell’Irpinia e quello del 1984 ad Avezzano.
L’alba è arrivata subito  e si sono viste in giro persone in pigiama, timorose di rientrare nella propria casa.
Ci sono state piccole lesioni nei muri di quasi tutte le case, dal momento che sono state costruite con i tanti discussi “criteri antisismici”. Ciò ci fa intuire la grande intensità di questo terremoto. Inoltre a circa mezzo chilometro dalla mia abitazione, una casa ormai vecchia dove viveva un’anziana che è morta da quasi un secolo, è crollata ma non ha danneggiato le case circostanti.
A neanche 24 ore dalla prima scossa, il terremoto si è fatto nuovamente sentire.
Alle 19:45 mentre io e la mia famiglia stavamo cenando, ci ha fatto agitare molto più della prima scossa. Forse perché eravamo molto svegli, o poiché non ce l’aspettavamo.
Così, come la maggior parte della gente, abbiamo deciso di iniziare a dormire in auto.
Ora, quasi ogni notte si sente una piccola scossa e tutti stanno aspettando ansiosamente che questo sciame sismico finisca. Intanto io rifletto sull’accaduto.
Quello che ho percepito da questo terremoto è che tutte le persone lo vivono in maniera diversa.
Per esempio, osservando mio cugino di otto anni, ho capito che per i più piccoli il terremoto è stato per lo più un motivo di gioco. Diversamente lo è stato per la maggior parte dei ragazzi intorno ai diciotto anni, che hanno vissuto queste scosse come occasione per bere e per liberarsi dai genitori, che al contrario hanno iniziato ad avere “problemi cardiaci”, sia per i figli che per il terremoto.
Io ora ci sto scherzando, perché secondo me in queste situazioni, per riuscire ad andare avanti, anche se può sembrare difficile, bisogna trovare sempre qualcosa di positivo in tutto.
Bisogna anche riconoscere però che la situazione è gravissima, perché ci sono migliaia di persone che non hanno più una propria vita e purtroppo dipendono dagli aiuti della Protezione Civile o dei volontari che offrono da mangiare, ma non credo che riescano a donare anche affetto... A quella povera gente che ormai non ha neppure una famiglia con cui piangere e, perché no, ridere dei vecchi tempi, quando tutto era ancora normale.
Ora noi e loro dobbiamo semplicemente aspettare che questa bruttissimo incubo finisca, sperando che tutto abbia un lieto fine, come i racconti che mi narrava la mamma dondolando la culla.











STORIA E RICERCA: LA BIBLIOTECA

Tratto da 
Giornalisti in Erba. Il giornale della Scuola Secondaria di primo grado. Anno III-Numero Unico-giugno 2009

Una biblioteca comunale a Caramanico
di
Annachiara Alberico, Valentina Carestia, Manuela De Angelis e Erica Piccioli
                                                                                                         



Il 5 ottobre 2008 a Caramanico Terme è stata inaugurata una nuova biblioteca presso il palazzo Palumbo, che è stato ristrutturato proprio per accoglierla.
L’amministrazione comunale ha voluto utilizzare questo locale anche per tenervi riunioni ed incontri culturali.
La cerimonia è iniziata alle ore 16.30 con l’apertura della Biblioteca Comunale e la consegna istituzionale dei primi volumi. A donare il primo libro è stato il Sindaco, l’architetto Mario Mazzocca. Si tratta del volume che lui stesso ha curato, La Costituzione. Il secondo è stato regalato da Don Giuseppe ed è La Sacra Bibbia. Il terzo dallo storico Tonino De Angelis, Presidente della Consulta e autore di Storia di Caramanico. L’Assessore alla Cultura, il Dott. Antonio De Vita ha dotato la biblioteca di una preziosissima pergamena. In ultimo dobbiamo ricordare il Dott. Ernesto Salerni che ha donato una importantissima copia del Catasto Onciario di Caramanico.
Subito dopo hanno preso la parola, per spiegare perché è nata la Biblioteca, il Sindaco di Caramanico e lo storico Tonino De Angelis.
C’è stato quindi l’insediamento della Consulta Comunale per la Cultura e la Ricerca Storica.
Alle ore 17.30 ci sono stati gli interventi di alcuni studiosi:
-Ernesto Salerni: il catasto onciario;
-Davide Berrettini e Bernardo Mazzocca: 100 anni di Terme;
-Roberto Boiardi e Filippo Aldino Alberi;
-Paolo Sanelli: I miei sogni sono stati tutti sulla Majella
-Diana Mazzone: Donne Abruzzesi nel Mondo;
-Antonio Tansella: Sci e alpinismo nel Parco Nazionale della Majella
-Adolfo Morizio: la chiesa di San Tommaso: una idea editoriale.
Un momento particolare è stato dedicato al ricordo del professore universitario Marcello de Giovanni, membro brillante della Consulta per la Ricerca Storica.
Alle ore 20.00, infine, c’è stato un brindisi inaugurale.
Ma tutti noi ora ci chiederemo: «COM’È LA NOSTRA GIOVANISSIMA BIBLIOTECA?»
Noi redattrici, inviate speciali per  Giornalisti in Erba, possiamo togliervi la curiosità. La nostra biblioteca in questo momento non è molto fornita di libri, ma in futuro ce ne saranno tanti, di tutti i tipi, dai classici ai fantastici e naturalmente sarà dotata di computer per navigare su internet.



Ricerca Storica e pubblicazioni scolastiche

Ecco il contenitore di molti lavori di ricerca storica
(a.s. 2006/2007)

Copertina

Prima Pagina

IL PRIMO NUMERO DI I Ragazzi della III A

     Il giornale I Ragazzi della III A  è una sperimentazione didattica prodotta dai laboratori di scrittura creativa e di ricerca storica. Si prefigge gli obiettivi di rendere partecipi e protagonisti gli alunni; favorire il rispetto di sé e degli altri attraverso il dialogo; potenziare le competenze comunicative, logiche, sociali, relazionali, operativo-manuali, informatiche; sviluppare la fantasia e lo spirito critico; e favorire il senso di appartenenza alla scuola.
    In questo numero ogni “giornalista” ha cercato di fare il massimo, tutto il possibile per darvi informazioni complete e chiare.


IL DIRETTORE EDITORIALE

Prof.ssa Katja Battaglia

GIORNALISTI IN ERBA - Il giornale della Scuola Secondaria di Caramanico Terme e la RICERCA STORICA


 Ecco la copertina e la quarta di copertina del giornale su cui sono stati pubblicati i lavori degli alunni della II A di Caramanico, del Laboratorio di Ricerca Storica di Katja Battaglia.








sabato 27 agosto 2016

"La Vita del Colonnello Silvino Olivieri" di Gaetano Bernardi (1861) studiata dai giovanissimi allievi di III B (a.s. 2010/2011)

Ancora un lavoro realizzato da un altro giovanissimo allievo di III B dell'a.s. 2010/2011. Si tratta di Nicola Mazzocca, che ha scelto di scrivere un saggio, dopo l'analisi del documento,  "La Vita del Colonnello Silvino Olivieri", scritto da Gaetano Bernardi, pubblicato nel 1861, proposto nel Laboratorio di Ricerca Storica della docente Katja Battaglia



SILVINO OLIVIERI: L'EROE DI CARAMANICO
 di Nicola Mazzocca

In occasione dei 150 anni della nostra Repubblica,scriverò riguardo ad un uomo valoroso che nacque a Caramanico il 21 gennaio 1829 da una famiglia di marchesi. Il padre Raffaele era conte di Arielli,la madre Pulcheria Crognale apparteneva anche lei ad una nobile famiglia di Castelnuovo. Era studente nel collegio degli Scolopi di Chieti,quando arrivò la notizia che a Napoli il re Ferdinando II aveva annunciato la concessione della costituzione.Dopo qualche tempo Venezia si ribellò contro gli austriaci e Milano scacciò gli austriaci dalla città.A Torino,il re Carlo Alberto,aiutò i milanesi dichiarando guerra all'Austria. Iniziava la guerra per l'indipendenza dell'Italia dallo straniero. Silvino, 19 anni, Fileno, 21, partirono da Caramanico per Napoli e qui, insieme ad altri giovani volontari, si imbarcarono per Genova. Giunsero anche a Milano, dove si unirono alla Legione Manora, ch'era già nei pressi di Brescia. I due fratelli combatterono valorosamente, meritandosi la promozione ad ufficiali. Il comportamento infido del Re Ferdinando II colpii i fratelli Olivieri. Ecco perché Silvino, in una lettera al padre, disprezzava il voltafaccia del monarca. Nel seguito della campagna egli ebbe modo di conoscere personalmente il General Carlo Poerio. Si distinse per merito e fu promosso Capitano. Quando, dopo la sconfitta dell'esercito piemontese a Custoza, fu firmato l'armistizio Salasco, Silvino si rifugiò in Piemonte, mentre Fileno si trovava nella zona del Lago Maggiore. Silvino lo raggiunse per unirsi ai gruppi di volontari di Garibaldi che continuavano le ostilità, ma fu incaricato, dal governo provvisorio della zona, di recarsi a Parigi per sollecitare la Francia ad intervenire a favore del Piemonte. Dopo la caduta di Venezia (23 agosto 1849) si imbarcò per l'oriente, raggiungendo l'Egitto, dove lavorò in un ufficio legale, poi nel Consolato napoletano di Alessandria. Negli ultimi mesi del '48 Silvino, ritornato in Italia, a Firenze incontrò Garibaldi che lo incaricò di compiere una spedizione in Abruzzo con un piccolo gruppo di uomini, a trovare alleati per l'unificazione dell'Italia. L'impresa non fu attuata, pertanto Silvino preferì recarsi in Sicilia a sostenere il governo provvisorio che si era costituito in contrapposizione a quello borbonico, dove fu nominato Capitano di Stato Maggiore del Generale Trobiand. Silvino Olivieri, ricercato dalla polizia che era sotto il comando degli stranieri, fu costretto a fuggire in Francia, Inghilterra, Germania e, nel 1852, in Argentina, dove si schierò a sostegno della libertà degli abitanti di Buenos Aires in guerra con la Confederazione Argentina. Tra il dicembre del 1852 e il luglio 1853, con il grado di Colonnello, comandò la "Legione Italiana" composta da 300 uomini, che si distinse nella difesa della città tanto da meritarsi il titolo di "valente", e dal 1855 al 1856 la "Legione Agricola Militare". Nel 1853 Olivieri ritornò in Italia per partecipare alle lotte di indipendenza, ma a Roma, tradito da una spia, fu arrestato e condannato a morte. L'intervento diplomatico argentino lo salvò dalla forca cambiando la pena in esilio, ma a patto che non rientrasse più sul territorio pontificio. Esule nuovamente in argentina, riprese la lotta contro la Confederazione. Nel luglio 1856 fondò la Colonia Agricola di Nueva Roma.
Il testo "La Vita del Colonnello Silvino Olivieri", scritto da Gaetano Bernardi, pubblicato nel 1861, racconta come avvenne la sua tragica morte. Spiega che i soldati nemici raggiunsero l'accampamento e la capanna di Silvino Olivieri, "poi si appressarono cautamente al lato della capanna dove sapevano ch'era posto il letto del Colonnello, si schierarono, e tutti appuntando gli schioppi a quel lato, fecero fuoco. Ne rimasero feriti gravemente il cappellano ed il servo; Silvino, intatto. Ma destato dal fragore dell'armi, e credendo di dover combattere nemici e non fratelli, così com'era colle vesti da notte, balzò di letto, impugnò le pistole, spalancò l'uscio e, gridando 'all'armi', scaricò i primi colpi. Al grido feroce degli aggressori che, vedutolo vivo, tornavano all'offesa, conobbe i suoi assassini. Vide certa la morte, e forse gli dolse acerbamente in quel punto perder la vita e colla vita le concepite speranze: ma non volle cadere invendicato. La punga diseguale continuò per poco, non avventurandosi i vili assalitori di appressarsi: due di loro caddero morti, altri feriti: ma offeso egli stesso lo sventurato Silvino in più parti del corpo, incapace di più correre intorno, lacero e coperto di sangue, barcollò, e colpito ancora d'una palla in mezzo al petto intemerato, cadde sclamando: m'hanno tradito! … povera Leucadia! (la sposa sua); e spirò".

SILVINO OLIVIERI L'EROE DI CARAMANICO

Di seguito potete leggere un'intervista a Silvino Olivieri, scritta da Maria Letizia D'Atri, allieva della III B dell'a.s. 2010/2011. Si tratta di un lavoro del Laboratorio di Ricerca Storica della docente Katja Battaglia. I giovanissimi studenti hanno studiato i documenti dei personaggi illustri di Caramanico, tra cui un eroe dell'Unità d'Italia.

Intervista a Silvino Olivieri
di
Maria Letizia D’Atri


• Lei è stato molto importante per la fondazione dell’Unità d’Italia, ma prima di iniziare a compiere le sue imprese, com’era la sua vita?
Io sono nato a Caramanico il 24 gennaio del 1828; appartenevo a una delle famiglie più nobili e i miei genitori mi mandarono a studiare nel Colleggio degli Scolopi, a Chieti. Ero un ragazzo saggio, corretto e riflessivo.
• La sua infanzia fu quindi tranquilla. Quando partì per la sua prima impresa?
Era il 1848, io avevo venti anni e mi arrivarono notizie sulla situazione napoletana in quel periodo. Allora partii subito con i miei fratelli Fileno e Luigi per Napoli. Da lì, io e Fileno ci siamo spostati in Lombardia con il generale Francesco Carrano per partecipare alla prima guerra d’indipendenza contro l’Austria.
• Come eravate considerati?
Ci consideravano bravi combattenti, assegnandoci vari riconoscimenti e promuovendoci ufficiali. Il re Ferdinando II era contro di noi e voleva cacciarci dalla Lombardia; il gen. Carlo Poerio, invece, mi diede il titolo di capitano.
• Lei e suo fratello avete continuato a combattere insieme o vi siete divisi?
Dopo una sconfitta, io mi ritrovai in Piemonte e partii per raggiungere mio fratello sul Lago Maggiore e unirmi ai gruppi di volontari di Garibaldi. Il governo però mi mandò a Parigi per sollecitare gli interventi francesi per il Piemonte. Fileno, invece, si spostò a Venezia per la difesa della città e poi in Egitto, dove s’impiegò nel consolato napoletano di Alessandria.
• Poi come ha proseguito i suoi spostamenti? È più tornato in Abruzzo?
Quando tornai in Italia, Garibaldi mi propose una spedizione in Abruzzo, ma io mi recai in Sicilia a sostenere il governo provvisorio, perché lì la situazione era più difficile. A maggio del ‘49 cadde Palermo ed io finii a Marsiglia. Nel ’50 tornai a Chieti. In seguito organizzai un’altra spedizione in Abruzzo, ma il mio caro amico Mazzini mi fece rinunciare al mio progetto.
• Poi si è spostato anche fuori dall’Europa, perché ha deciso di partire?
Garibaldi organizzava imprese in America meridionale e per imitarlo, nel 1852, decisi di partire per Buenos Aires.
• Che cosa stava succedendo lì?
Si stavano scontrando il governo e la dittatura di Urquizia. La Legione Italiana affiancava il governo e respinse anche vari attacchi nemici: per questo le fu dato il nome di “Valorosa”. Alla fine del conflitto fui promosso tenente colonnello e tornai in Europa.
• Riuscì a tornare in Italia?
Sì, ma entrai a Roma con un falso nome e subito dopo fui accusato di ripristino di società segreta e prossima insurrezione e mi portarono nel carcere di S. Michele il 25 settembre 1854. Autorità argentine e altra gente contestarono il mio arresto ma con il processo fui condannato a venti anni di carcere, poi ridotti a quindici e, dopo l’intervento dell’ambasciatore francese fui rilasciato. Allora da Civitavecchia andai in Inghilterra per incontrare i miei fratelli e il mio amico Mazzini. Fu proprio lui a dirmi di ripartire per l’Argentina seguendo le direttive di Giovan Battista Cuneo.
• E lei partì di nuovo?
Sì, nell’autunno del 1855. Ricevetti un’accoglienza speciale. Con il governo, decisi di fondare una colonia agricola militare dove i volontari avrebbero difeso il territorio e le loro famiglie avrebbero avuto terreni per vivere. Io progettai la località “ Nuova Roma”.
Per noi italiani Giovan Battista Cuneo pubblicava un periodico, facendo pubblicità alla nostra colonia.
• E la sua famiglia?
I miei fratelli mi raggiunsero anche in Argentina, dove io sposai Leucadia Cambacérès.
• Il progetto della sua colonia ebbe successo?
Sì, il 15 maggio 1856 la inaugurammo e iniziò la costruzione delle fattorie. Ma al suo interno c’erano disordini e problemi e si entrò in una situazione di crisi.

Proprio per questi disordini, Silvino Olivieri fu assassinato nella sua capanna la notte tra il 28 e il 29 settembre del 1856.







venerdì 26 agosto 2016

ANGELO CAMILLO COLAFELLA IN UN RACCONTO STORICO degli allievi della III A dell'a.s. 2008/2009

Tempo fa ai giovani allievi di III A di Caramanico dell'anno scolastico 2008-2009, ho proposto lo studio della storia locale, per poi realizzare racconti storici. Gli alunni erano molto affascinati dal brigantaggio, perché nel passato la maestra Patrizia Conti aveva svolto un pregevole laboratorio di ricerca storica, in cui si approfondiva la conoscenza dei briganti del territorio. Dopo avere proposto documenti dell'Archivio di Stato di Chieti e dell'Archivio di Stato di L'Aquila, ecco di seguito un loro lavoro.


Il racconto storico: la vita avventurosa del brigante Angelo Camillo Colafella
di
Massimo De Acetis



Era una notte buia e tempestosa. Il cielo era illuminato solo dal pallido chiarore della luna.
Un gruppo di quattro uomini correva furtivamente per la strada. Avevano maglie e pantaloni squarciati dalle baionette. Correvano via, sotto la pioggia. Uno di loro portava a tracolla un fucile e nelle mani aveva due pistole. Era Angelo Camillo Colafella, il brigante più noto dell’intera Valle dell’Orte.
Vedendo due carabinieri passeggiare per la strada, Colafella e i suoi uomini si nascosero dietro un vicolo e solo quando scomparvero alla loro vista, i briganti ricominciarono a correre. Arrivati davanti ad una casa si fermarono, bussarono tre volte sulla porta e dopo qualche secondo essa si aprì. I briganti scomparvero dietro l’uscio.
«Svegliatevi! Comandante, svegliatevi!»
«Ma che ore sono?»
«È mattina. Dobbiamo andare a scovare i briganti di Colafella dal loro nascondiglio!»
«E va bene. Fatemi almeno vestire».
Qualche minuto dopo il capo chiese al suo esercito:
«Dove sono i briganti?»
«L’ultima volta sono stati avvistati nei dintorni del paese».
«Prendi con te una decina di soldati. Andiamo a controllare se le tue informazioni sono giuste!»
Arrivati in paese, i soldati controllarono ogni vicolo e bussarono a tutte le porte. Giunti davanti un edificio abbandonato, si fermarono. Il comandante notò che c’era qualcosa che non andava. Sulla porta impolverata e protetta  sulla parte superiore da un terrazzino, era rimasta l’impronta di una mano. Il capo diede l’ordine di sfondarla e i soldati ubbidirono buttandola giù. Entrarono cautamente, controllarono le case da cima a fondo e non trovarono nulla. Allora il comandante diede l’ordine di uscire, ma proprio mentre stavano per varcare la soglia si sentirono degli spari e due soldati caddero a terra morti. Gli altri, voltandosi, videro dieci briganti, tra cui c’era Colafella che con il suo fucile faceva fuoco sugli uomini della legge. I soldati non fecero neanche in tempo a prendere le armi che vennero colpiti tutti e, uno dopo l’altro, caddero a terra morti. Era stata una vera e propria fucilazione.
«Ed ora che facciamo Colafella?»
«Saccheggiamo le abitazioni dei ricchi che vanno a favore dell’Unità d’Italia!»
E così i briganti si misero all’opera, derubando e uccidendo tanti cittadini. Alla fine abbandonarono il paese con soddisfazione.
La notizia dell’uccisione dei soldati e del saccheggio del paese giunse fino alle orecchie della Guardia Nazionale che decise di andare lui stesso a scovare Colafella.
Perciò prese con sé una cinquantina di uomini e perlustrò tutta la regione, trovando Colafella presso una grotta.
«Buttate le armi e uscite!»
«Colafella, ci hanno circondato» disse un brigante.
«Va bene, va bene. Ma non ci prenderanno!» E fece segno ai suoi uomini di seguirlo.
Si nascosero dietro alcune rocce e, dopo aver afferrato con forza i fucili, cominciarono a sparare conto gli alberi dove stavano i soldati.
I soldati risposero al fuoco. Era iniziata una vera e propria guerra. I briganti erano in numero minore, ma erano più riparati dei soldati. Inoltre avevano la dinamite. Colafella ne prese una cartuccia, la accese e la buttò contro gli avversari che saltarono in aria. Ora di questi ultimi ne  erano rimasti una ventina. Colafella lanciò altre cartucce verso i soldati, provocando una nube di fumo, che coprì i movimenti di Colafella e dei briganti. Con la velocità di un felino andarono a posizionarsi dietro i soldati che non si accorsero di nulla e continuarono a sparare verso la grotta.
I briganti aprirono il fuoco e sterminarono tutti i soldati compresa la Guardia Nazionale.
Da quel momento in poi la banda di Colafella fu perseguitata più di prima e alla fine fu sterminata, nel 1863, tra le balze del Morrone.







                                                                                                      


 




PESCARA E LA PRIMA GUERRA MONDIALE

L'articolo è la parte conclusiva del saggio "PESCARA: DA PÓLISMA VESTINO A PROVINCIA" di Katja Battaglia 

Pescara dopo la prima guerra mondiale
     La guerra si era protratta per più di quattro anni (1914-1918) e aveva provocato circa 9 milioni di morti, tra militari e civili. Si era conclusa con la vittoria della Francia, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell’Italia. Ma quest’ultima non veniva pienamente soddisfatta: otteneva dall’Austria solo il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia e Trieste. Per questo reclamava anche altri territori che le erano stati promessi quando era entrata in guerra. Si diffondeva, quindi, l’idea di una vittoria mutilata, che aveva suscitato proteste e aveva accresciuto la tensione nel Paese.
     A Pescara nel 1918 era stato arrestato Carlo Garbero di Napoli, un suonatore ambulante, residente a Sulmona, per avere cantato e distribuito in esemplare a stampa una canzonetta intitolata Il caro viveri. Le prime due strofe sono le seguenti: «L’Italia è bella e fertile/ di grano d’olio e vino/ di carne ed altri generi/ per chi fa lo strozzino./ Tre terzi ce la rincarano/ ne busca il popolino/ Bom bom bom/ e i signorini no». Questi versi e altri con il titolo Il canto delle classi 99-900 erano stati stampati in 10.000 copie da un tipografo di Lanciano, Giuseppe Micozzi, che era stato ugualmente arrestato per avere violato le norme dell’editto di stampa[1].
     Intanto alcuni pionieri del socialismo provinciale di Pescara, il segretario comunale Marcello Del Zoppo, il sarto Valentino Cannella e il giornalaio Nicola Viglietti non avevano perso tempo a ricostruire le sezioni. I combattenti, a loro volta, che avevano vissuto uniti l’orrore delle trincee, volevano affrontare insieme il problemi del reinserimento nel tessuto sociale e produttivo. Per questo avevano organizzato nella città, durante il mese di marzo 1919, le prime sezioni aderenti all’Associazione Nazionale Combattenti con Attila Panzoni e Umberto Ferruggia[2].
     Il 14 e il 15 settembre del 1919 i combattenti celebravano a Chieti il 1° congresso regionale. Dopo un saluto a d’Annunzio e a Fiume italiana, proposto da Giacomo Acerbo, il presidente Carlo Quarantotto leggeva una relazione economica. Spiegava che l’associazione tutelava i componenti tramite la costruzione in ogni provincia di un ufficio di assistenza, che si occupava dei sussidi di disoccupazione, del disbrigo delle pratiche relative ai premi di smobilitazione e all’assicurazione obbligatoria contro l’invalidità, la vecchiaia e la disoccupazione, della concessione di borse di studio e di assegni per gli operai combattenti, dell’istituzione di cooperative di consumo e di lavoro[3].





[1] Archivio di Stato di Chieti, Tribunale penale di Chieti, Sentenze 1918, fasc. 1977. Cfr. anche F. Paziente, La provincia di Chieti da Giolitti a Mussolini (1915-1929). Società, Stato e Chiesa tra rinnovamento e restaurazione, a c. di F. Lullo, (Quaderni della Biblioteca, 2), Chieti, Biblioteca Provinciale “A.C. De Meis”, 1999.
[2] Ivi, pp. 21-22.
[3] Ivi, pp. 35-36.

giovedì 25 agosto 2016

PESCARA NEL PERIODO BIZANTINO E LONGOBARDO CON UN ACCENNO A SAN CETTEO

L'articolo è tratto da "PESCARA: DA PÓLISMA VESTINO A PROVINCIA" di Katja Battaglia (fa parte di uno studio più ampio. Il lavoro di ricerca storica è stato possibile grazie ad una borsa di studio elargita dal Comune di Pescara nel 2006, dal Sindaco del tempo Luciano D'Alfonso, oggi Governatore della Regione Abruzzo).

2. Il periodo bizantino e longobardo
     Tra i secoli V e VI d.C. Aternum veniva fortificato dai Goti, che vi estendevano il proprio dominio fino al 538, o dai Bizantini, che lo conquistavano in quell’anno. A questo periodo risale il rifacimento del tracciato viario lungo il fiume e il porto[1].
     I Longobardi, entrati in Abruzzo già nel 591, conquistavano l’abitato non prima del 599[2]. La loro occupazione durava poco tempo, ma provocava gravi danni. Seguiva la riconquista bizantina, che potenziava il controllo del litorale tra l’Aterno e Vasto[3].

2.1. L’occupazione longobarda e la vicenda di San Cetteo
     Aternum non era sede vescovile, ma esiste una tradizione relativa a San Cetteo, di cui bisogna ancora accertarne la veridicità, che descrive le difficili condizioni in cui si trovava la città durante l’occupazione longobarda.
     Il testo tramandato dagli Acta Sanctorum colloca l’evento negli anni 602-604[4], nel periodo in cui Foca era l’imperatore (602-610) del regno bizantino, Gregorio Magno era papa (590-604) e Faroaldo era duca di Spoleto.
     Narra che San Cetteo era vescovo di Amiternum quando il territorio veniva occupato dai Longobardi guidati dai due capi, tra loro rivali, Alai e Umbolo. Alai per eliminare Umbolo si era alleato con Veriliano, il comes (vale a dire il conte) della Hortonensis civitas[5]. Quest’ultimo, secondo gli accordi, aveva assalito la città durante la notte e perciò era stato condannato a morte. Continua spiegando che, poiché San Cetteo era intervenuto a suo favore, Umbolo aveva deciso di farlo decapitare insieme ad Alai. Ma il boia si era rifiutato di decapitare San Cetteo, che quindi veniva gettato da un ponte sul fiume Pescara (Pons Marmoreus). Il corpo del santo martire era stato rinvenuto da un pescatore di nome Valeriano, presso Zara e lì veniva sepolto per ordine del vescovo locale con il nome di Peregrinus, dato che non si sapeva chi fosse[6].  
     In genere gli studiosi attribuiscono una scarsa attendibilità a questo racconto, almeno per il contesto storico. È invece molto dibattuta la collocazione geografica dell’episodio. Tutto dipende dal nome esatto della città di cui era comes Veriliano. I Bollandisti ipotizzano Hortana o Hortanensis civitas, l’odierna Orte in provincia di Viterbo, supponendo un facilis error da parte del copista del manoscritto che aveva trascritto Hortonensis civitas, l’attuale Ortona. In questo caso Amiternum andrebbe privilegiata rispetto ad Aternum. Ma se l’errore non ci fosse stato, il riferimento a Ortona e la menzione del ponte dal quale era stato gettato San Cetteo proverebbero incontrovertibilmente che l’episodio si era verificato ad Aternum[7].





[1] Ivi, p. 328.
[2] A.R. Staffa, Scavi nel centro storico di Pescara… cit., p. 290, n. 91. G. Firpo, Aternum… cit., p. 328, n. 17.
[3]Ivi, p. 329, n. 19; A. Colarossi Mancini, Aternum. Notizie storiche, in «Rivista Abruzzese», XXXIV (1919), pp. 3-13.
[4]Acta Sanctorum iunii, Bruxelles, Culture e Civilitation, 1969, pp. 691-693. Cfr. G. Firpo, Aternum… cit., p. 329, n. 19.
[5] In origine il termine latino comes significava ‘compagno di viaggio’, poi divenne un titolo dei funzionari imperiali romani. Nel tardo impero, con la riorganizzazione dell’apparato burocratico operata da Diocleziano e Costantino, i ‘comites’ assunsero mansioni ben precise all’interno dell’amministrazione, sempre strettamente legate alle attività dell’imperatore. Da questo sostantivo, attraverso la mediazione del francese antico, deriva il termine italiano ‘conte’.
[6] Ivi, p. 329.
[7] Ivi, p. 330; e A.R. Staffa, Scavi nel centro storico di Pescara… cit., p. 290 e sgg.

mercoledì 24 agosto 2016

PESCARA E LA STORIA DELLE ORIGINI

Di seguito è possibile leggere la parte iniziale del saggio relativo al territorio di Pescara, che fa parte di uno studio più ampio. Il lavoro di ricerca storica è stato possibile grazie ad una borsa di studio elargita dal Comune di Pescara nel 2006, dal Sindaco del tempo Luciano D'Alfonso, oggi Governatore della Regione Abruzzo.

PESCARA: DA PÓLISMA VESTINO A PROVINCIA

di

Katja Battaglia


1. Gli albori della storia
Il territorio di Pescara a nord del fiume era abitato già nell’età del Bronzo[2]. Un tempo il suo nome era Aternum o Ostia/Ostium Aterni[3]. Il toponimo Piscaria, come attesta il linguista Marcello de Giovanni, comparirà dall’età longobarda[4].
     Si estendeva sulla riva destra del fiume Aterno allo sbocco dell’Adriatico e in territorio marrucino, pertinente al municipium di Teate[5], con un porto comune alle tribù sabelliche dei Marrucini, dei Peligni e dei Vestini[6].
     Il primo a parlarne, definendolo pólisma (πóλισμα) vestino è Strabone[7]. Quindi l’impianto urbano sembra risalire alla fine del secolo I a.C., proprio quando il geografo di Amasea redigeva la sua opera. Anche gli scavi condotti sulla sponda destra del tratto terminale dell’Aterno (Bagno Borbonico, piazza Unione, Via Orazio), ne attestano l’esistenza ininterrotta tra la fine del secolo I a.C. e il secolo VII d.C[8].

1.1. L’importanza commerciale di Aternum
     Aternum si trovava all’incrocio di due importanti direttrici viarie, commerciali e militari, la Litorale Adriatica e la Tiburtina Claudia Valeria, che collegava l’Adriatico a Roma. Ad esse si aggiungevano tante altre strade intermedie anche grandi, come la Salaria, la Cecilia e la Claudia Nova. Quindi per i trasporti via terra e per quelli marittimi costituiva un punto di riferimento commerciale di un ampio bacino, dalla conca fucense e dai territori costieri e pedemontani fino a Truentum a nord, e ad Histonium e Buca a sud[9].
     In età imperiale il suo scalo marittimo cresceva di importanza e raggiungeva il massimo livello in epoca tardo-antica[10]. Tra le principali risorse economiche del territorio c’era il sale, prodotto negli stabilimenti alla foce del fiume Salino[11].
     L’agricoltura, invece, era maggiormente concentrata nella fascia litoranea e pedemontana. La produzione di vino si distingueva per la  notevole qualità tra l’Aterno e Cupra Maritima (negli agri atriano, pretuziano e palmense) durante l’ultima età repubblicana. Nella stessa Cupra Marittima tra i secoli II-I a.C. e II-III d.C. veniva incrementata l’attività delle fabbriche di anfore destinate al commercio vinario[12]. Ciò prova che durante i secoli I e II d.C. nel porto di Aternum esisteva un’intensa attività commerciale di vini pregiati medioadriatici con la Grecia, l’Oriente greco e l’Egitto[13].






[1] Questo saggio è  parte di un lavoro più ampio di ricerca per una borsa di studio sulla storia di Pescara, elargita dal comune nel 2006.
[2] Cfr. A.R. Staffa et Alii, Il progetto Valle del Pescara. Siti archeologici e territorio fra antichità e alto Medioevo, in «Abruzzo: rivista dell’Istituto di Studi Abruzzesi», XXXII-XXXV (1994-1997), 2, pp. 177-178. Per una conoscenza più approfondita del patrimonio archeologico di Pescara vd. A.R. Staffa, Carta archeologica della provincia di Pescara: Elaborato tecnico ufficiale del Piano Territoriale Provinciale, Mosciano, Media, 2004, pp. 93-94.
[3] G. Firpo, Aternum/Ostia Aterni e la sua rilevanza commerciale in età romana imperiale, in «Abruzzo»… cit., p. 325, n. 1. Per l’etimologia di ‘Aternum’ v. G. Alessio - M. de Giovanni, Preistoria e protostoria linguistica dell’Abruzzo, Lanciano, Itinerari, 1983, pp. 37-38. I toponimi Aternum e Piscaria sono studiati approfonditamente in M. de Giovanni, Per la storia linguistica di Pescara e della sua provincia, in «Abruzzo»… cit., pp. 360-363.
[4] Ivi, p. 362.
[5] G. Firpo, Aternum… cit., p. 327.
[6] Ivi, p. 326, n. 4. Per una conoscenza più approfondita cfr. anche A.R. Staffa, Scavi nel centro storico di Pescara, 1: primi elementi per la ricostruzione dell’assetto antico ed altomedievale dell’abitato di “Ostia Aterni-Aternum”, in «Archeologia Medievale», XVIII (1991), pp. 201-367.
[7] Strabone, Geografia, Milano, BUR, 1994, 5, 4, 2, p. 241; G. Firpo, Aternum… cit., p. 325. Marcello de Giovanni interpreta pólisma con l’accezione di ‘città’ e non con quella di ‘vicus’, al di là delle questioni burocratiche di riconoscimento dello status giuridico delle comunità (M. de Giovanni, Per la storia linguistica… cit., p. 362).
[8] G. Firpo, Aternum… cit., p. 327.
[9] Ivi, p. 330.
[10] Ibidem, n. 23.
[11] Ivi, p. 331.
[12] Questa fiorente attività è celebrata anche da Plinio il Vecchio, v. G. Plinius Secundus, Storia naturale, ed. diretta da G.B. Conte con la collaborazione di G. Ranacci, Torino, Einaudi, 1982-1988, XXXV, 161. Vd. G. Firpo, Aternum… cit., pp. 331-332, anche le nn. 29-30.
[13] C’è da aggiungere che c’erano altri porti nella zona, come Matrinum e Ortona, ma erano piccoli e adatti a tragitti di breve tratto.

martedì 23 agosto 2016

STORIA E RICCHEZZA

Plutarco, nato attorno al 45 d.C. nella cittadina di Cheronea in Beozia, scrive la biografia di Pelopida e, nel capitolo tre della sua opera Vite Parallelelo descrive con queste parole: 
"Pelopida, figlio di Ippoclo, nacque da famiglia di buona reputazione a Tebe, come Epaminonda. Allevato in grande agiatezza e avendo, ancor giovane, ereditato un cospicuo patrimonio, si dette a soccorrere quanti tra i bisognosi e gli amici lo meritavano, per mostrare che era veramente padrone delle proprie ricchezze e non schiavo. Infatti come dice Aristotele, della maggior parte degli uomini alcuni non ne fanno uso per spilorceria, altri ne abusano per intemperanza, e in tal modo questi vivono sempre schiavi del benessere, quelli degli interessi". 
Con queste parole Plutarco ci insegna che non bisogna né spendere denaro per soddisfare ogni proprio bisogno e né risparmiare sempre per accumulare, perché gli eccessi con le ricchezze ci rendono prigionieri: chi spende troppo è schiavo del benessere, chi  poco è servo degli interessi.
Ecco un'immagine di Plutarco.