Ancora un lavoro realizzato da un altro giovanissimo allievo di III B dell'a.s. 2010/2011. Si tratta di Nicola Mazzocca, che ha scelto di scrivere un saggio, dopo l'analisi del documento, "La Vita del Colonnello Silvino Olivieri", scritto da Gaetano Bernardi, pubblicato nel 1861, proposto nel Laboratorio di Ricerca Storica della docente Katja Battaglia.
SILVINO OLIVIERI: L'EROE DI CARAMANICO
di Nicola Mazzocca
SILVINO OLIVIERI: L'EROE DI CARAMANICO
di Nicola Mazzocca
In occasione dei 150 anni della nostra Repubblica,scriverò riguardo
ad un uomo valoroso che nacque a Caramanico il 21 gennaio 1829 da una famiglia
di marchesi. Il padre Raffaele era conte di Arielli,la madre Pulcheria Crognale
apparteneva anche lei ad una nobile famiglia di Castelnuovo. Era studente nel
collegio degli Scolopi di Chieti,quando arrivò la notizia che a Napoli il re
Ferdinando II aveva annunciato la concessione della costituzione.Dopo qualche
tempo Venezia si ribellò contro gli austriaci e Milano scacciò gli austriaci
dalla città.A Torino,il re Carlo Alberto,aiutò i milanesi dichiarando guerra
all'Austria. Iniziava la guerra per l'indipendenza dell'Italia dallo straniero.
Silvino, 19 anni, Fileno, 21, partirono da Caramanico per Napoli e qui, insieme
ad altri giovani volontari, si imbarcarono per Genova. Giunsero anche a Milano,
dove si unirono alla Legione Manora, ch'era già nei pressi di Brescia. I due
fratelli combatterono valorosamente, meritandosi la promozione ad ufficiali. Il
comportamento infido del Re Ferdinando II colpii i fratelli Olivieri. Ecco
perché Silvino, in una lettera al padre, disprezzava il voltafaccia del
monarca. Nel seguito della campagna egli ebbe modo di conoscere personalmente
il General Carlo Poerio. Si distinse per merito e fu promosso Capitano. Quando,
dopo la sconfitta dell'esercito piemontese a Custoza, fu firmato l'armistizio
Salasco, Silvino si rifugiò in Piemonte, mentre Fileno si trovava nella zona del
Lago Maggiore. Silvino lo raggiunse per unirsi ai gruppi di volontari di
Garibaldi che continuavano le ostilità, ma fu incaricato, dal governo
provvisorio della zona, di recarsi a Parigi per sollecitare la Francia ad
intervenire a favore del Piemonte. Dopo la caduta di Venezia (23 agosto 1849)
si imbarcò per l'oriente, raggiungendo l'Egitto, dove lavorò in un ufficio
legale, poi nel Consolato napoletano di Alessandria. Negli ultimi mesi del '48
Silvino, ritornato in Italia, a Firenze incontrò Garibaldi che lo incaricò di
compiere una spedizione in Abruzzo con un piccolo gruppo di uomini, a trovare
alleati per l'unificazione dell'Italia. L'impresa non fu attuata, pertanto
Silvino preferì recarsi in Sicilia a sostenere il governo provvisorio che si
era costituito in contrapposizione a quello borbonico, dove fu nominato
Capitano di Stato Maggiore del Generale Trobiand. Silvino Olivieri, ricercato
dalla polizia che era sotto il comando degli stranieri, fu costretto a fuggire
in Francia, Inghilterra, Germania e, nel 1852, in Argentina, dove si schierò a
sostegno della libertà degli abitanti di Buenos Aires in guerra con la
Confederazione Argentina. Tra il dicembre del 1852 e il luglio 1853, con il
grado di Colonnello, comandò la "Legione Italiana" composta da 300
uomini, che si distinse nella difesa della città tanto da meritarsi il titolo
di "valente", e dal 1855 al 1856 la "Legione Agricola
Militare". Nel 1853 Olivieri ritornò in Italia per partecipare alle lotte
di indipendenza, ma a Roma, tradito da una spia, fu arrestato e condannato a
morte. L'intervento diplomatico argentino lo salvò dalla forca cambiando la
pena in esilio, ma a patto che non rientrasse più sul territorio pontificio.
Esule nuovamente in argentina, riprese la lotta contro la Confederazione. Nel
luglio 1856 fondò la Colonia Agricola di Nueva Roma.
Il testo "La Vita del Colonnello Silvino Olivieri",
scritto da Gaetano Bernardi, pubblicato nel 1861, racconta come avvenne la sua
tragica morte. Spiega che i soldati nemici raggiunsero l'accampamento e la
capanna di Silvino Olivieri, "poi si appressarono cautamente al lato
della capanna dove sapevano ch'era posto il letto del Colonnello, si
schierarono, e tutti appuntando gli schioppi a quel lato, fecero fuoco. Ne
rimasero feriti gravemente il cappellano ed il servo; Silvino, intatto. Ma
destato dal fragore dell'armi, e credendo di dover combattere nemici e non
fratelli, così com'era colle vesti da notte, balzò di letto, impugnò le
pistole, spalancò l'uscio e, gridando 'all'armi', scaricò i primi colpi. Al
grido feroce degli aggressori che, vedutolo vivo, tornavano all'offesa, conobbe
i suoi assassini. Vide certa la morte, e forse gli dolse acerbamente in quel
punto perder la vita e colla vita le concepite speranze: ma non volle cadere
invendicato. La punga diseguale continuò per poco, non avventurandosi i vili
assalitori di appressarsi: due di loro caddero morti, altri feriti: ma offeso
egli stesso lo sventurato Silvino in più parti del corpo, incapace di più
correre intorno, lacero e coperto di sangue, barcollò, e colpito ancora d'una
palla in mezzo al petto intemerato, cadde sclamando: m'hanno tradito! … povera
Leucadia! (la sposa sua); e spirò".
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