lunedì 8 agosto 2016

RICERCA STORICA PER GIOVANI ALLIEVI: LE GUERRE DEL NOVECENTO IN ABRUZZO (CARAMANICO)

La classe III B di Caramanico dell'a.s. 2014/2015 ha lavorato sulle guerre del Novecento in Abruzzo, rintracciando le notizie nei documenti degli archivi di famiglia e dalle testimonianze dei sopravvissuti. Di seguito leggerete l'articolo del giovanissimo Giovanni Cavallucci, che all'epoca aveva 13 anni,  premiato con una  menzione al merito per la ricerca storica, dal Concorso organizzato dall'AFIA di Ortona.

Gli occhi della guerra
di
GIOVANNI CAVALLUCCI
(si tratta della prima parte del lavoro)

FONTI STORICHE

VIRGILIO MARINUCCI
(Periodo: Seconda Guerra Mondiale, nonno materno di mio padre)  
Era attendente di un sotto-tenente dell’artiglieria a cavallo.  Fu catturato dai Tedeschi e portato in un campo di concentramento in Germania. Durante la prigionia soffrì molto la fame. Alcune volte essa veniva alleviata da donne tedesche del posto che, dall’ altra parte della recinzione, gli buttavano delle bucce di patate e degli scarti di pranzo.
Intanto a Scagnano, frazione di Caramanico e luogo dove abitava sua moglie e i suoi figli, cercavano notizie su di lui.
Visto che le sue lettere non arrivavano e per sapere se era vivo o morto, i suoi familiari andavano spesso da un signore di San Valentino, comune limitrofo a Scagnano, in provincia di Pescara.
Quell’uomo era l’unico nella zona ad avere la radio ed era il solo a possedere delle informazioni in tempo reale sulla guerra e in particolare sui prigionieri.

SILVINO CAVALLUCCI
 (Periodo: Seconda Guerra Mondiale, nonno paterno di mio padre) – prima parte
Fece la guerra in Grecia e in Montenegro e, proprio lì, si procurò una ferita alla schiena ancora ben presente nei ricordi di mio padre.
Successe durante una perlustrazione nelle montagne intorno al campo. Un giorno come altri, si recò con i suoi compagni nelle montagne vicine.
Mentre stavano attraversando una gola abbastanza alta, cominciarono a sparargli dall’alto ed iniziò un grande combattimento. Spari di là e di qua, in ogni direzione. Per sua grande fortuna, uno degli addetti al soccorso era un abruzzese, forse di Pianella, con il quale aveva fatto amicizia per via della loro provenienza. Infatti, riconoscendolo, lo portò al campo e gli salvò la vita.

SILVINO CAVALLUCCI
(Periodo: Seconda Guerra Mondiale ) – seconda parte
Il bisnonno Silvino raccontava che era estate e i soldati dormivano nelle tende. Ma lì dentro faceva caldo e un soldato di nome Amadio, che proveniva da una zona chiamata Cherbachen, attuale Contrada Valli di Caramanico, mise le gambe fuori la tenda.
 Quando passò il caporale per un’ispezione, vide quelle gambe e le frustò. Amadio, per non far vedere che sentiva caldo disse: “Ma i sojaut non ci entr” (Traduzione: “Ma io sono alto,  non ci entro”).
Effettivamente lui era molto alto, ma la verità era che faceva tanto caldo.

SILVINO CAVALLUCCI
(Periodo: Seconda Guerra Mondiale ) – terza parte
Quando cominciò l’armistizio con le nazioni alleate Silvino Cavallucci scappò dalla guerra per tornare a casa. Camminò dal Montenegro fino a Trieste, cibandosi di qualsiasi cosa, compreso le foglie delle viti.
A Trieste incontrò Amato (a quel tempo un ragazzo di diciotto anni di Scagnano, luogo in cui abitavano) e cominciarono a camminare verso l’Abruzzo insieme, rifugiandosi nelle case dei contadini che incontravano sulla strada del ritorno. Erano ancora vestiti da soldati, quindi col moschetto a Mestre cominciarono a viaggiare sopra i tetti dei vagoni dei treni a carbone, quindi si sporcavano. Allora un giorno Amato disse “Echete quant si brutt!” (Traduzione: “Caspita quanto sei brutto!”) e il mio bisnonno gli rispose “E perché? Tu ti si vist?” (Traduzione: “E perché? Ti sei guardato?”).
A un certo punto del viaggio dovevano attraversare il Piave e un contadino che li aveva ospitati gli disse dove oltrepassare il corso d’acqua. Mentre stavano attraversando il fiume, il mio bisnonno scivolò e Amato lo salvò.
Continuarono fino a Pescara, dove si vestirono da contadini. Al bivio di Abbateggio (comune vicino a San Valentino) vollero prendere l’autobus. Arrivò il conducente, che si chiamava Filippuch (fratello del padre, del marito, della sorella di mia nonna). Quando stavano per salire, lui li bloccò perché non avevano il biglietto. Allora il mio bisnonno non fece proteste, perché aveva paura che chiamassero i carabinieri, invece Amato lo prese per il braccio e gli disse: “ Mo lo guidem nu l’autobbùs” (Traduzione: “Adesso lo guidiamo noi l’autobus!”).
Arrivati alla fermata di Scagnano, forse si era sparsa la voce del loro ritorno, la mamma di Amato gli fece trovare un pollo arrosto.

SALVATORE ZIGROSSI
(Periodo: Seconda Guerra Mondiale, nonno paterno di mia mamma )
Mia mamma ricorda che lui era un gigante buono essendo molto alto, circa un metro e novanta.
Fece quattordici anni di guerra. Andò in Libia, Somalia, Etiopia, Spagna, Grecia e Montenegro.
Quando tornò la prima volta, fece una domanda per lavorare. Ma una persona lo ingannò, invece di fargli compilare la domanda di lavoro, gli fece firmare la domanda di volontario di guerra.
Allora prima di partire andò a mangiare il pesce a Pescara e mangiò persino le spine. Ma, non avendo molti soldi per pagare, disse al cuoco: “Se torno ti pago”.
Dopo l’Africa andò in Spagna, dove ebbe una medaglia.
Raccontava di essersi trovato in una vallata piena di soldati italiani morti. Erano rimasti vivi lui e un tenente e stavano per arrivare i soldati russi. Allora si nascosero sotto i cadaveri.
Quando arrivarono i Russi, scapparono per il disgusto di quello che avevano visto.
Restò solo il caporale-tenente. Allora il mio bisnonno, consapevole di essere in pericolo, prese un moschetto e lo puntò al russo cercando di difendersi. Neutralizzato il pericolo, gli prese il portafogli dove vide le foto di soldati italiani decapitati. A quel punto gli diede un colpo col calcio del fucile.
Successivamente, raggiunti i suoi superiori, fece rapporto mostrando le foto degli atti brutali sui soldati italiani e lo premiarono con una medaglia. Quando tornò disse, rivolgendosi all’uomo che l’aveva ingannato: “A do sta, se lo incontro lo pijo a calci in culo” (traduzione: “Dove sta, se lo trovo, lo prendo a calci nel sedere). Il bisnonno appese quella medagli all'asino per farla vedere a tutto il paese.

Queste sono le parole del nostro parroco Don Giuseppe Liberatoscioli.
In tutti i campi di concentramento, quando una persona scappava ne prendevano dieci a caso ( la maggior parte ebrea) e le lasciavano morire di fame, nelle prigioni e nei  i forni crematori. Un giorno presero una persona che aveva una famiglia numerosa (come molte altre) e questo si disperò per la scelta. Allora un frate italiano che era lì si offrì al suo posto. Siccome quel giorno c’era il vice-capo di Auschwitz e non il capo, ciò gli fu concesso. Si racconta che quando l’infermiera andò dal frate, per iniettare nelle sue vene il veleno mortale, quest’ultimo sorrise. Quando lo venne a sapere il capo di Auschwitz,  questo si arrabbiò molto perché ora i Tedeschi avevano creato un martire.

Riflessioni
La pace la desideriamo tutti, ma ancor di più chi ha vissuto il dramma della guerra. Come abbiamo visto dalle testimonianze dei mie bis e tris-nonni, la guerra è stata crudele e chi ci ha rimesso più di tutti è il popolo.
 Pensate chi vide le persone diventare “manichini pelle e ossa”, oppure una vallata intera piena di cadaveri e un fiume di color azzurro diventare rosso. Questi sono solo pochi esempi di tragedie, che la guerra ha generato. Eppure anche nel profondo del buio c’è una piccola luce.  
Il popolo tedesco fu anch’esso crudele ma non tutto. Alcune donne, quelle  che davano da mangiare al mio bisnonno Virgilio, erano buone.
Ma non dimentichiamo che anche gli altri eserciti furono crudeli, mio nonno diceva che dove passavano gli Americani non restava neanche l’erba, o i Russi e gli altri.
In quasi tutte le testimonianze dei miei bisnonni c’è qualcosa che fa ridere. Mio nonno, che si è ammalato tantissimo da piccolo, dice sempre: “Se non ridi e non parli con qualcuno ti chiudi in te stesso e ripensi alle atrocità della guerra”. Infatti  trovava sempre un espediente per stare in compagnia, per ridere, perché altrimenti pensavi troppo alle atrocità della guerra e ti chiudevi in te stesso, come è successo a molti soldati.
Da un episodio della Prima Guerra Mondiale si capisce che la guerra porta vantaggio solo ai potenti. Ve lo racconto qui di seguito. Era inverno e il freddo aveva portato via la puzza dei cadaveri in putrefazione, allora i Tedeschi prepararono un albero di Natale con rami secchi e le lattine del rancio. Gli Inglesi avanzarono e arrivati alla trincea avversaria si scambiarono doni, cantarono e fecero anche una partita di calcio con i nemici. Il giorno dopo lo vennero a sapere i loro superiori e si arrabbiarono. Si ricominciò a sparare. Ma nessuno si rifiutò di sparare al compagno di calcio o di canto. La guerra fu crudele, obbligò persone buone a diventare assassini. Questa è una domanda che mi tormenta da un po’: “Ma perché il popolo non si ribellò a quattro-cinque uomini?”
 Forse la risposta l’ho trovata oggi 27 gennaio 2015. Durante la celebrazione del giorno della memoria, dopo avere suonato la canzone dei Nomadi “Auschwitz” e esposto agli alunni della Scuola Primaria le testimonianze sulle guerre, che avevamo rintracciato, abbiamo visto il film “Storia di una ladra di libri”. Mi ha colpito una frase di questo film: “Gli uomini sanno essere buoni e cattivi allo stesso tempo”.





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