Negli anni Ottanta del secolo XII Giovanni di
Berardo redigeva il Chronicon casauriense[1].
Nel prologo l’autore spiegava che da un tipo di insediamento sparso, costituito
da ville e casali si passava ai siti incastellati[2],
non solo per opera del potere abbaziale ma anche del ceto emergente delle
signorie fondiarie, erede della classe dirigente longobarda. Il processo era
tanto dilagante da modificare il paesaggio della regione.
Beczo
aveva costruito due castelli nella valle di Caramanico, a Picericum[3]
e a Salle tra il 981 e il 982[4].
Leggendo quanto fa annotare Giovanni di Berardo[5],
era un «tale potentissimo» in lite con lo stesso abate Adamo per alcuni terreni
(situati a Caramanico e a Picericum)[6],
figlio di Ramaldus[7], con
il possesso, vale a dire la sola disponibilità del bene a lungo termine, dei
territori di Picericum e Salle: la proprietà spettava al beato Clemente[8].
È ipotizzabile la sua appartenza alla signoria fondiaria di discendenza
longobarda, che acquisiva una maggiore importanza. Ma Beczo è realmente
esistito e il suo nome è davvero collegato all’incastellamento di Salle? Siamo
di fronte ad un’unica fonte e data la tipologia del documento non possiamo
accogliere con assoluta certezza le notizie che vi sono tramandate.
Il ceto a
cui apparteneva Beczo, in base al principio giuridico di origine germanica “del
possesso di fatto della terra che crea potere” si accresceva grazie alle
usurpazioni. Queste erano molto frequenti nelle zone periferiche del Ducato di
Spoleto, come Salle, in cui vigeva il particolarismo feudale, a causa della non
chiara giurisdizione.
Nella
seconda metà del secolo X l’abate Adamo faceva una ricognizione dei privilegi e
delle proprietà del monastero e notava che erano presenti oltre che vendite
anche usurpazioni ad opera di predoni[9].
Tra
questi troviamo Beczo, che si era appropriato di 1000 moggi[10]
di terreni situati a Caramanico e a Picericum e di 8 in un luogo detto Coira[11].
Beczo era un censuario, un livellario che, secondo la legislazione medievale,
doveva pagare per godere l’uso dei beni una somma annua al
monastero-proprietario diretto, ma non lo faceva: senza versare il prezzo
pattuito signoreggiava su quelle terre[12].
Questo episodio è esemplare per capire che
il monastero affittava i terreni alle nascenti signorie rurali e che queste,
quando potevano, li possedevano non a titolo di censuari ma di veri proprietari[13].
Nel Chronicon Casauriense Giovanni di
Berardo spiegava come, nel 983, l’abate Adamo riusciva a recuperare i terreni
in questione. Riportava, infatti, il contenuto del provvedimento
giurisdizionale[14]. In
esso leggiamo che a Prezza, alla presenza delle autorità giudiziarie, si
presentavano l’abate Adamo con l’avvocato Widus, figlio di Gisonus e Beczo.
L’abate Adamo, mostrando la precaria, vale a dire il documento che attestava la
concessione dei beni immobili in godimento temporaneo e dietro pagamento di un
corrispettivo[15], sosteneva
l’inosservanza di quanto stipulato. In un primo tempo Beczo, sotto giuramento,
negava l’esistenza di una precaria rispondendo: «Non est veritas» («Non è la
verità»), ma infine richiedeva nuovamente – e gli veniva concesso – l’uso di quei
terreni. La controversia si concludeva, quindi, a favore del monastero,
addirittura con l’emanazione di un bando che prevedeva una pena più aspra per
gli usurpatori[16].
[1] Per
le vicende del Chronicon vd. anche L. Pellegrini, Abruzzo medioevale. Un itinerario storico attraverso la documentazione,
Cava Dei Tirreni, Edizioni Studi Storici Meridionali, 1988, pp. 29-30 (per la
storia della documentazione abruzzese in epoca medioevale cfr. pp. 19-41).
[2] Giovanni di Berardo, Chronicon casauriense. Liber Instrumentorum seu Chronicorum Monasterii
Casauriensis. Codicem Parisinum Latinum 5411 quam simillime expressum edimus,
L’Aquila, Amministrazione provinciale, 1982, c. 1r , «(…) ex quibus villis et
casalibus ipse munitiones et eadem castella invaluerunt (…)» (Chronicon).
L’opera è edita anche nel Chronicon
Casauriense, auctore Johanne Berardi ejusdem coenobii monacho, ab ejus origine
Usque ad Annum MCLXXXII, quo Scriptor florebat, deductum. Liber Primus, in
L.A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores (...), vol.
II-II, Sala Bolognese, A. Forni, 1983 (ristampa anastatica dell’ed. di Milano
dell’anno 1726).
[3] G. Di Berardo, Chronicon… cit., c. 159r (Chronicon).
Ma anche c. 158v, in cui Giovanni di Berardo localizza Picericum «(…) ultra
fluvium Orta et Orfente (…)» (Cronicon).
Questo toponimo oggi è scomparso: vd. de
Giovanni, Elementi di storia linguistica, pp. 171-172, n. 48). La gente del luogo individua una zona
detta “capicerchio” tra Musellaro e Salle.
[4]
Giovanni di Berardo datava la notizia dopo il 981 e prima del 983. È scritta,
infatti, dopo gli eventi del 981,
in G. Di Berardo,
Chronicon… cit., c. 154v (Chronicon) e prima delle vicende del
983, come è attestato nella c. 159v (Cronicon).
L.A. Muratori, Rerum Italicarum… cit., cc. 833-835. Il cronista fornisce
anche l’etimologia di Salle. Spiega, infatti, che il paese si estendeva su un saltus ‘bosco, pascolo’ e da esso
prendeva il nome: G. Di Berardo, Chronicon… cit., c. 159r, «Alterum vero
citra orta fluvium, edificavit, cui nomen impositum fuit Salle, quia in ipso
saltu montis, et infra saltum lignorum est positum» (Chronicon). Questo collegamento etimologico è foneticamente
insostenibile, bisogna sostituirlo con la soluzione di Marcello de Giovanni: M.
de Giovanni, Elementi di storia
linguistica…, cit., pp. 170-173.
[5] G. Di Berardo, Chronicon… cit., cc. 158v-159r, «Igitur in ipso tempore cum istas
possessiones possideret Beczo, non proprio, sed beati Clementis titulo,
edificavit ex eis castellula duo in valle de Caramanico (…)» (Chronicon).
[6] Ivi, c. 158v, «Confutavit etiam idem
abbas Adam quemdam potentissimum Bezonem nomine, de possessione mille modiorum
terre in Caramanaco et Piccerico (…)» (Chronicon).
[7] Il
nome Beczo e quello di suo padre Ramaldus non sono inseriti nel Catalogus Baronum, a c. di E. Jamison, Roma, aziende tipografiche
eredi dott. G. Bardi, 1972 (Fonti per la storia d’italia pubblicate
dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 101). Cfr. cartina allegata di T.R. Hardaker, Catalogus Baronum. A map illustrating the military
administration together with the more notable cities and castella. Nella
cartina Salle non è rappresentata perché non è compresa nel Catalogus Baronum. La sua collocazione è
stabilita sulla base delle località confinanti (es.: Musellaro, Caramanico).
[8] G. Di Berardo, Chronicon…
cit., c. 158v (Chronicon).
[9] A. Clementi, Gli insediamenti monastici…, cit., p. 18; L.A. Muratori,
Rerum Italicarum, col. 827.
[10] Il moggio è un’antica unità di misura che corrisponde in media a un
terzo di ettaro.
[11] G. Di Berardo, Chronicon…
cit., c.158v (Chronicon).
[12] Ivi,
cc. 158v-159r (Chronicon e Instrumentarium).
[13] A. Clementi, Gli insediamenti monastici…, cit., p. 18.
[14] G. Di Berardo, Chronicon…
cit., cc. 158v-159r (Instrumentarium).
[15] Più semplicemente
possiamo dire che l’abate Adamo mostrava un “contratto d’affitto”.
[16] Ibidem, in cui è riportato il giudicato.
Quest’ultimo è stato trascritto anche in L.A. Muratori,
Rerum Italicarum, coll.
977-978. Per una sintesi vd. cc. 158v-159r (Chronicon),
riportata anche in L.A. Muratori, Rerum Italicarum, col. 834.
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