giovedì 4 agosto 2016

"Da villaggio anonimo a centro incastellato: il destino di un feudo" di Katja Battaglia, tratto da Il castello di Salle nelle fonti documentarie, a cura di P. Calvano e M. di Genova di Salle, Coral Gables (Florida), Salle Castle & Museum Trust [s.d.]

Negli anni Ottanta del secolo XII Giovanni di Berardo redigeva il Chronicon casauriense[1]. Nel prologo l’autore spiegava che da un tipo di insediamento sparso, costituito da ville e casali si passava ai siti incastellati[2], non solo per opera del potere abbaziale ma anche del ceto emergente delle signorie fondiarie, erede della classe dirigente longobarda. Il processo era tanto dilagante da modificare il paesaggio della regione. 
      Beczo aveva costruito due castelli nella valle di Caramanico, a Picericum[3] e a Salle tra il 981 e il 982[4]. Leggendo quanto fa annotare Giovanni di Berardo[5], era un «tale potentissimo» in lite con lo stesso abate Adamo per alcuni terreni (situati a Caramanico e a Picericum)[6], figlio di Ramaldus[7], con il possesso, vale a dire la sola disponibilità del bene a lungo termine, dei territori di Picericum e Salle: la proprietà spettava al beato Clemente[8]. È ipotizzabile la sua appartenza alla signoria fondiaria di discendenza longobarda, che acquisiva una maggiore importanza. Ma Beczo è realmente esistito e il suo nome è davvero collegato all’incastellamento di Salle? Siamo di fronte ad un’unica fonte e data la tipologia del documento non possiamo accogliere con assoluta certezza le notizie che vi sono tramandate. 
     Il ceto a cui apparteneva Beczo, in base al principio giuridico di origine germanica “del possesso di fatto della terra che crea potere” si accresceva grazie alle usurpazioni. Queste erano molto frequenti nelle zone periferiche del Ducato di Spoleto, come Salle, in cui vigeva il particolarismo feudale, a causa della non chiara giurisdizione.
     Nella seconda metà del secolo X l’abate Adamo faceva una ricognizione dei privilegi e delle proprietà del monastero e notava che erano presenti oltre che vendite anche usurpazioni ad opera di predoni[9].
     Tra questi troviamo Beczo, che si era appropriato di 1000 moggi[10] di terreni situati a Caramanico e a Picericum e di 8 in un luogo detto Coira[11]. Beczo era un censuario, un livellario che, secondo la legislazione medievale, doveva pagare per godere l’uso dei beni una somma annua al monastero-proprietario diretto, ma non lo faceva: senza versare il prezzo pattuito signoreggiava su quelle terre[12]
     Questo episodio è esemplare per capire che il monastero affittava i terreni alle nascenti signorie rurali e che queste, quando potevano, li possedevano non a titolo di censuari ma di veri proprietari[13].
     Nel Chronicon Casauriense Giovanni di Berardo spiegava come, nel 983, l’abate Adamo riusciva a recuperare i terreni in questione. Riportava, infatti, il contenuto del provvedimento giurisdizionale[14]. In esso leggiamo che a Prezza, alla presenza delle autorità giudiziarie, si presentavano l’abate Adamo con l’avvocato Widus, figlio di Gisonus e Beczo. L’abate Adamo, mostrando la precaria, vale a dire il documento che attestava la concessione dei beni immobili in godimento temporaneo e dietro pagamento di un corrispettivo[15], sosteneva l’inosservanza di quanto stipulato. In un primo tempo Beczo, sotto giuramento, negava l’esistenza di una precaria rispondendo: «Non est veritas» («Non è la verità»), ma infine richiedeva nuovamente – e gli veniva concesso – l’uso di quei terreni. La controversia si concludeva, quindi, a favore del monastero, addirittura con l’emanazione di un bando che prevedeva una pena più aspra per gli usurpatori[16].







[1] Per le vicende del Chronicon vd. anche L. Pellegrini, Abruzzo medioevale. Un itinerario storico attraverso la documentazione, Cava Dei Tirreni, Edizioni Studi Storici Meridionali, 1988, pp. 29-30 (per la storia della documentazione abruzzese in epoca medioevale cfr. pp. 19-41).
[2] Giovanni di Berardo, Chronicon casauriense. Liber Instrumentorum seu Chronicorum Monasterii Casauriensis. Codicem Parisinum Latinum 5411 quam simillime expressum edimus, L’Aquila, Amministrazione provinciale, 1982, c. 1r , «(…) ex quibus villis et casalibus ipse munitiones et eadem castella invaluerunt (…)»  (Chronicon). L’opera è edita anche nel Chronicon Casauriense, auctore Johanne Berardi ejusdem coenobii monacho, ab ejus origine Usque ad Annum MCLXXXII, quo Scriptor florebat, deductum. Liber Primus, in  L.A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores (...), vol. II-II, Sala Bolognese, A. Forni, 1983 (ristampa anastatica dell’ed. di Milano dell’anno 1726).
[3] G. Di Berardo, Chronicon… cit., c. 159r (Chronicon). Ma anche c. 158v, in cui Giovanni di Berardo localizza Picericum «(…) ultra fluvium Orta et Orfente (…)» (Cronicon). Questo toponimo oggi è scomparso: vd. de Giovanni, Elementi di storia linguistica, pp. 171-172, n. 48). La gente del luogo individua una zona detta “capicerchio” tra Musellaro e Salle.
[4] Giovanni di Berardo datava la notizia dopo il 981 e prima del 983. È scritta, infatti, dopo gli eventi del 981, in G. Di Berardo, Chronicon… cit., c. 154v (Chronicon) e prima delle vicende del 983, come è attestato nella c. 159v (Cronicon). L.A. Muratori, Rerum Italicarum… cit., cc. 833-835. Il cronista fornisce anche l’etimologia di Salle. Spiega, infatti, che il paese si estendeva su un saltus ‘bosco, pascolo’ e da esso prendeva il nome: G. Di Berardo, Chronicon… cit., c. 159r, «Alterum vero citra orta fluvium, edificavit, cui nomen impositum fuit Salle, quia in ipso saltu montis, et infra saltum lignorum est positum» (Chronicon). Questo collegamento etimologico è foneticamente insostenibile, bisogna sostituirlo con la soluzione di Marcello de Giovanni: M. de Giovanni, Elementi di storia linguistica…, cit., pp. 170-173.
[5] G. Di Berardo, Chronicon… cit., cc. 158v-159r, «Igitur in ipso tempore cum istas possessiones possideret Beczo, non proprio, sed beati Clementis titulo, edificavit ex eis castellula duo in valle de Caramanico (…)» (Chronicon).
[6] Ivi, c. 158v, «Confutavit etiam idem abbas Adam quemdam potentissimum Bezonem nomine, de possessione mille modiorum terre in Caramanaco et Piccerico (…)» (Chronicon).
[7] Il nome Beczo e quello di suo padre Ramaldus non sono inseriti nel Catalogus Baronum, a c. di E. Jamison, Roma, aziende tipografiche eredi dott. G. Bardi, 1972 (Fonti per la storia d’italia pubblicate dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 101). Cfr. cartina allegata di T.R. Hardaker, Catalogus Baronum. A map illustrating the military administration together with the more notable cities and castella. Nella cartina Salle non è rappresentata perché non è compresa nel Catalogus Baronum. La sua collocazione è stabilita sulla base delle località confinanti (es.: Musellaro, Caramanico).
[8] G. Di Berardo, Chronicon… cit., c. 158v (Chronicon).
[9] A. Clementi, Gli insediamenti monastici…, cit.,  p. 18; L.A. Muratori, Rerum Italicarum, col. 827.
[10] Il moggio è un’antica unità di misura che corrisponde in media a un terzo di ettaro.
[11] G. Di Berardo, Chronicon… cit., c.158v (Chronicon).
[12] Ivi, cc. 158v-159r (Chronicon e Instrumentarium).
[13] A. Clementi, Gli insediamenti monastici…, cit., p. 18.
[14] G. Di Berardo, Chronicon… cit., cc. 158v-159r (Instrumentarium).
[15] Più semplicemente possiamo dire che l’abate Adamo mostrava un “contratto d’affitto”.
[16] Ibidem, in cui è riportato il giudicato. Quest’ultimo è stato trascritto anche in L.A. Muratori, Rerum Italicarum, coll. 977-978. Per una sintesi vd. cc. 158v-159r (Chronicon), riportata anche in L.A. Muratori, Rerum Italicarum, col. 834. 

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