Di seguito potete leggere un'intervista a Silvino Olivieri, scritta da Maria Letizia D'Atri, allieva della III B dell'a.s. 2010/2011. Si tratta di un lavoro del Laboratorio di Ricerca Storica della docente Katja Battaglia. I giovanissimi studenti hanno studiato i documenti dei personaggi illustri di Caramanico, tra cui un eroe dell'Unità d'Italia.
di
• Lei è
stato molto importante per la fondazione dell’Unità d’Italia, ma prima di
iniziare a compiere le sue imprese, com’era la sua vita?
Io sono nato a Caramanico il 24 gennaio del 1828; appartenevo a
una delle famiglie più nobili e i miei genitori mi mandarono a studiare nel
Colleggio degli Scolopi, a Chieti. Ero un ragazzo saggio, corretto e
riflessivo.
• La sua
infanzia fu quindi tranquilla. Quando partì per la sua prima impresa?
Era il 1848, io avevo venti anni e mi arrivarono notizie sulla
situazione napoletana in quel periodo. Allora partii subito con i miei fratelli
Fileno e Luigi per Napoli. Da lì, io e Fileno ci siamo spostati in Lombardia
con il generale Francesco Carrano per partecipare alla prima guerra
d’indipendenza contro l’Austria.
• Come
eravate considerati?
Ci consideravano bravi combattenti, assegnandoci vari
riconoscimenti e promuovendoci ufficiali. Il re Ferdinando II era contro di noi
e voleva cacciarci dalla Lombardia; il gen. Carlo Poerio, invece, mi diede il
titolo di capitano.
• Lei e
suo fratello avete continuato a combattere insieme o vi siete divisi?
Dopo una sconfitta, io mi ritrovai in Piemonte e partii per
raggiungere mio fratello sul Lago Maggiore e unirmi ai gruppi di volontari di
Garibaldi. Il governo però mi mandò a Parigi per sollecitare gli interventi
francesi per il Piemonte. Fileno, invece, si spostò a Venezia per la difesa
della città e poi in Egitto, dove s’impiegò nel consolato napoletano di
Alessandria.
• Poi come
ha proseguito i suoi spostamenti? È più tornato in Abruzzo?
Quando tornai in Italia, Garibaldi mi propose una spedizione in
Abruzzo, ma io mi recai in Sicilia a sostenere il governo provvisorio, perché
lì la situazione era più difficile. A maggio del ‘49 cadde Palermo ed io finii
a Marsiglia. Nel ’50 tornai a Chieti. In seguito organizzai un’altra spedizione
in Abruzzo, ma il mio caro amico Mazzini mi fece rinunciare al mio progetto.
• Poi si è
spostato anche fuori dall’Europa, perché ha deciso di partire?
Garibaldi organizzava imprese in America meridionale e per
imitarlo, nel 1852, decisi di partire per Buenos Aires.
• Che cosa
stava succedendo lì?
Si stavano scontrando il governo e la dittatura di Urquizia. La
Legione Italiana affiancava il governo e respinse anche vari attacchi nemici: per
questo le fu dato il nome di “Valorosa”. Alla fine del conflitto fui promosso
tenente colonnello e tornai in Europa.
• Riuscì a
tornare in Italia?
Sì, ma entrai a Roma con un falso nome e subito dopo fui accusato
di ripristino di società segreta e prossima insurrezione e mi portarono nel
carcere di S. Michele il 25 settembre 1854. Autorità argentine e altra gente contestarono
il mio arresto ma con il processo fui condannato a venti anni di carcere, poi
ridotti a quindici e, dopo l’intervento dell’ambasciatore francese fui
rilasciato. Allora da Civitavecchia andai in Inghilterra per incontrare i miei
fratelli e il mio amico Mazzini. Fu proprio lui a dirmi di ripartire per
l’Argentina seguendo le direttive di Giovan Battista Cuneo.
• E lei
partì di nuovo?
Sì, nell’autunno del 1855. Ricevetti un’accoglienza speciale. Con
il governo, decisi di fondare una colonia agricola militare dove i volontari
avrebbero difeso il territorio e le loro famiglie avrebbero avuto terreni per
vivere. Io progettai la località “ Nuova Roma”.
Per noi italiani Giovan Battista Cuneo pubblicava un periodico,
facendo pubblicità alla nostra colonia.
• E la sua
famiglia?
I miei fratelli mi raggiunsero anche in Argentina, dove io sposai
Leucadia Cambacérès.
• Il
progetto della sua colonia ebbe successo?
Sì, il 15 maggio 1856 la inaugurammo e iniziò la costruzione delle
fattorie. Ma al suo interno c’erano disordini e problemi e si entrò in una
situazione di crisi.
Proprio per questi disordini, Silvino Olivieri fu assassinato
nella sua capanna la notte tra il 28 e il 29 settembre del 1856.
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