sabato 27 agosto 2016

SILVINO OLIVIERI L'EROE DI CARAMANICO

Di seguito potete leggere un'intervista a Silvino Olivieri, scritta da Maria Letizia D'Atri, allieva della III B dell'a.s. 2010/2011. Si tratta di un lavoro del Laboratorio di Ricerca Storica della docente Katja Battaglia. I giovanissimi studenti hanno studiato i documenti dei personaggi illustri di Caramanico, tra cui un eroe dell'Unità d'Italia.

Intervista a Silvino Olivieri
di
Maria Letizia D’Atri


• Lei è stato molto importante per la fondazione dell’Unità d’Italia, ma prima di iniziare a compiere le sue imprese, com’era la sua vita?
Io sono nato a Caramanico il 24 gennaio del 1828; appartenevo a una delle famiglie più nobili e i miei genitori mi mandarono a studiare nel Colleggio degli Scolopi, a Chieti. Ero un ragazzo saggio, corretto e riflessivo.
• La sua infanzia fu quindi tranquilla. Quando partì per la sua prima impresa?
Era il 1848, io avevo venti anni e mi arrivarono notizie sulla situazione napoletana in quel periodo. Allora partii subito con i miei fratelli Fileno e Luigi per Napoli. Da lì, io e Fileno ci siamo spostati in Lombardia con il generale Francesco Carrano per partecipare alla prima guerra d’indipendenza contro l’Austria.
• Come eravate considerati?
Ci consideravano bravi combattenti, assegnandoci vari riconoscimenti e promuovendoci ufficiali. Il re Ferdinando II era contro di noi e voleva cacciarci dalla Lombardia; il gen. Carlo Poerio, invece, mi diede il titolo di capitano.
• Lei e suo fratello avete continuato a combattere insieme o vi siete divisi?
Dopo una sconfitta, io mi ritrovai in Piemonte e partii per raggiungere mio fratello sul Lago Maggiore e unirmi ai gruppi di volontari di Garibaldi. Il governo però mi mandò a Parigi per sollecitare gli interventi francesi per il Piemonte. Fileno, invece, si spostò a Venezia per la difesa della città e poi in Egitto, dove s’impiegò nel consolato napoletano di Alessandria.
• Poi come ha proseguito i suoi spostamenti? È più tornato in Abruzzo?
Quando tornai in Italia, Garibaldi mi propose una spedizione in Abruzzo, ma io mi recai in Sicilia a sostenere il governo provvisorio, perché lì la situazione era più difficile. A maggio del ‘49 cadde Palermo ed io finii a Marsiglia. Nel ’50 tornai a Chieti. In seguito organizzai un’altra spedizione in Abruzzo, ma il mio caro amico Mazzini mi fece rinunciare al mio progetto.
• Poi si è spostato anche fuori dall’Europa, perché ha deciso di partire?
Garibaldi organizzava imprese in America meridionale e per imitarlo, nel 1852, decisi di partire per Buenos Aires.
• Che cosa stava succedendo lì?
Si stavano scontrando il governo e la dittatura di Urquizia. La Legione Italiana affiancava il governo e respinse anche vari attacchi nemici: per questo le fu dato il nome di “Valorosa”. Alla fine del conflitto fui promosso tenente colonnello e tornai in Europa.
• Riuscì a tornare in Italia?
Sì, ma entrai a Roma con un falso nome e subito dopo fui accusato di ripristino di società segreta e prossima insurrezione e mi portarono nel carcere di S. Michele il 25 settembre 1854. Autorità argentine e altra gente contestarono il mio arresto ma con il processo fui condannato a venti anni di carcere, poi ridotti a quindici e, dopo l’intervento dell’ambasciatore francese fui rilasciato. Allora da Civitavecchia andai in Inghilterra per incontrare i miei fratelli e il mio amico Mazzini. Fu proprio lui a dirmi di ripartire per l’Argentina seguendo le direttive di Giovan Battista Cuneo.
• E lei partì di nuovo?
Sì, nell’autunno del 1855. Ricevetti un’accoglienza speciale. Con il governo, decisi di fondare una colonia agricola militare dove i volontari avrebbero difeso il territorio e le loro famiglie avrebbero avuto terreni per vivere. Io progettai la località “ Nuova Roma”.
Per noi italiani Giovan Battista Cuneo pubblicava un periodico, facendo pubblicità alla nostra colonia.
• E la sua famiglia?
I miei fratelli mi raggiunsero anche in Argentina, dove io sposai Leucadia Cambacérès.
• Il progetto della sua colonia ebbe successo?
Sì, il 15 maggio 1856 la inaugurammo e iniziò la costruzione delle fattorie. Ma al suo interno c’erano disordini e problemi e si entrò in una situazione di crisi.

Proprio per questi disordini, Silvino Olivieri fu assassinato nella sua capanna la notte tra il 28 e il 29 settembre del 1856.







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