L'articolo è tratto da "PESCARA: DA PÓLISMA VESTINO
A PROVINCIA" di Katja Battaglia (fa parte di uno studio più ampio. Il lavoro di ricerca storica è stato possibile grazie ad una borsa di studio elargita dal Comune di Pescara nel 2006, dal Sindaco del tempo Luciano D'Alfonso, oggi Governatore della Regione Abruzzo).
2.
Il periodo bizantino e longobardo
Tra i secoli V e VI d.C. Aternum
veniva fortificato dai Goti, che vi estendevano il proprio dominio fino al 538,
o dai Bizantini, che lo conquistavano in quell’anno. A questo periodo risale il
rifacimento del tracciato viario lungo il fiume e il porto[1].
I Longobardi, entrati in Abruzzo già nel
591, conquistavano l’abitato non prima del 599[2]. La
loro occupazione durava poco tempo, ma provocava gravi danni. Seguiva la
riconquista bizantina, che potenziava il controllo del litorale tra l’Aterno e
Vasto[3].
2.1.
L’occupazione longobarda e la vicenda di San Cetteo
Aternum non era sede vescovile, ma
esiste una tradizione relativa a San Cetteo, di cui bisogna ancora accertarne
la veridicità, che descrive le difficili condizioni in cui si trovava la città
durante l’occupazione longobarda.
Il testo tramandato dagli Acta Sanctorum
colloca l’evento negli anni 602-604[4], nel
periodo in cui Foca era l’imperatore (602-610) del regno bizantino, Gregorio
Magno era papa (590-604) e Faroaldo era duca di Spoleto.
Narra che San Cetteo era vescovo di Amiternum
quando il territorio veniva occupato dai Longobardi guidati dai due capi, tra
loro rivali, Alai e Umbolo. Alai per eliminare Umbolo si era alleato con
Veriliano, il comes (vale a dire il conte) della Hortonensis civitas[5]. Quest’ultimo,
secondo gli accordi, aveva assalito la città durante la notte e perciò era
stato condannato a morte. Continua spiegando che, poiché San Cetteo era
intervenuto a suo favore, Umbolo aveva deciso di farlo decapitare insieme ad
Alai. Ma il boia si era rifiutato di decapitare San Cetteo, che quindi veniva
gettato da un ponte sul fiume Pescara (Pons Marmoreus). Il corpo del santo
martire era stato rinvenuto da un pescatore di nome Valeriano, presso Zara e lì
veniva sepolto per ordine del vescovo locale con il nome di Peregrinus,
dato che non si sapeva chi fosse[6].
In genere gli studiosi attribuiscono una
scarsa attendibilità a questo racconto, almeno per il contesto storico. È
invece molto dibattuta la collocazione geografica dell’episodio. Tutto dipende
dal nome esatto della città di cui era comes Veriliano. I Bollandisti
ipotizzano Hortana o Hortanensis civitas, l’odierna Orte in
provincia di Viterbo, supponendo un facilis error da parte del copista
del manoscritto che aveva trascritto Hortonensis civitas, l’attuale
Ortona. In questo caso Amiternum andrebbe privilegiata rispetto ad Aternum.
Ma se l’errore non ci fosse stato, il riferimento a Ortona e la menzione del
ponte dal quale era stato gettato San Cetteo proverebbero incontrovertibilmente
che l’episodio si era verificato ad Aternum[7].
[1] Ivi, p. 328.
[2] A.R. Staffa, Scavi nel centro storico di
Pescara… cit., p. 290, n. 91. G. Firpo,
Aternum… cit., p. 328, n. 17.
[3]Ivi, p. 329, n. 19; A. Colarossi Mancini, Aternum.
Notizie storiche, in «Rivista Abruzzese», XXXIV (1919), pp. 3-13.
[4]Acta
Sanctorum iunii, Bruxelles, Culture e Civilitation, 1969, pp. 691-693. Cfr.
G. Firpo, Aternum… cit., p.
329, n. 19.
[5] In
origine il termine latino comes
significava ‘compagno di viaggio’, poi divenne un titolo dei funzionari
imperiali romani. Nel tardo impero, con la riorganizzazione dell’apparato
burocratico operata da Diocleziano e Costantino, i ‘comites’ assunsero mansioni ben precise all’interno
dell’amministrazione, sempre strettamente legate alle attività dell’imperatore.
Da questo sostantivo, attraverso la mediazione del francese antico, deriva il
termine italiano ‘conte’.
[6] Ivi, p. 329.
[7] Ivi, p. 330; e A.R. Staffa, Scavi
nel centro storico di Pescara… cit., p. 290 e sgg.
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